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Quanto Consuma un Deumidificatore Portatile

Capire quanto consuma davvero un deumidificatore portatile richiede di andare oltre il numero in watt stampato sulla targhetta. Quella cifra indica la potenza assorbita mentre l’apparecchio è in funzione, ma la bolletta di fine mese dipende da quante ore lavora a pieno carico, da quante ore resta in modulazione o in attesa, dalla temperatura e dall’umidità dell’ambiente, dalla tecnologia impiegata e da come lo si usa in pratica, per esempio con quale setpoint e in quale posizione. È quindi più utile pensare in termini di chilowattora, cioè di energia consumata nel tempo, e in termini di litri d’acqua rimossi per ogni chilowattora impiegato, che è la misura più vicina al “lavoro utile” che chiediamo a un deumidificatore.

La relazione tra potenza e consumo è semplice: il consumo si ottiene moltiplicando la potenza in chilowatt per le ore effettive di funzionamento. Un deumidificatore da trecentocinquanta watt che lavora sei ore consuma poco più di due chilowattora, e il costo si ricava moltiplicando quel valore per la tariffa applicata. La difficoltà sta nel determinare quante ore effettive resta acceso, perché gli apparecchi dotati di igrostato si accendono e spengono per mantenere l’umidità relativa impostata. In un locale molto umido e freddo possono rimanere in servizio quasi ininterrottamente, mentre in una stanza temperata e ben isolata funzioneranno a intermittenza. Un secondo modo per valutare l’efficienza, spesso più illuminante, consiste nel chiedersi quanti litri di acqua riescono a togliere dall’aria per ogni chilowattora consumato. Questo rapporto, che i produttori talvolta indicano come litri per chilowattora o con sigle tecniche, rende comparabili macchine diverse al di là dei watt. A parità di umidità e temperatura, un apparecchio che rimuove due litri per chilowattora è più economico di uno che ne rimuove uno solo, perché costa la metà per ogni litro “strizzato” dall’aria.

La tecnologia scelta incide molto sul profilo di consumo. I deumidificatori a compressore, anche chiamati a condensazione, usano un circuito frigorifero che raffredda una batteria su cui l’umidità condensa. Sono efficienti quando l’aria è temperata, in genere sopra i diciotto gradi, e offrono un buon equilibrio tra potenza assorbita e capacità di estrazione. All’aumentare della taglia crescono potenza e litri al giorno dichiarati, che tuttavia si riferiscono a condizioni di prova calde e molto umide, ben lontane dalla realtà di molte case. Gli essiccativi, che si basano su un rotore impregnato di gel di silice, si comportano in modo diverso. Richiedono potenze maggiori, perché una parte dell’energia serve a rigenerare il materiale assorbente, ma mantengono la loro capacità anche quando la temperatura ambiente scende in doppia cifra bassa, una condizione in cui il compressore tradizionale perde molto terreno e si avvita in cicli di sbrinamento. Esistono poi i piccoli deumidificatori termolettrici, basati su celle di Peltier, che assorbono potenze molto basse e rimuovono quantità modeste. Sono adatti a piccoli volumi come armadi o piccole stanze, ma non rappresentano un’alternativa efficiente in ambienti domestici veri e propri, perché l’energia per litro d’acqua rimossa risulta in genere la più sfavorevole.

Oltre alla tecnologia, influiscono fortemente le condizioni dell’ambiente. Un locale con umidità iniziale elevata, infiltrazioni ricorrenti o carichi di vapore quotidiani come un bucato steso farà lavorare l’apparecchio a lungo e alla massima velocità. Se il problema alla base non viene risolto, il deumidificatore dovrà ripetere lo stesso sforzo giorno dopo giorno. La temperatura è un altro fattore chiave. Le macchine a compressore rendono al meglio tra i venti e i trenta gradi, quando l’aria può contenere più vapore e la batteria raffreddata condensa in modo efficace; sotto i quindici gradi l’efficienza crolla e aumentano i chilowattora necessari per ogni litro rimosso. Anche la logica di controllo ha la sua parte: impostare un’umidità bersaglio troppo bassa rispetto al necessario costringe il deumidificatore a restare acceso per più tempo e porta a un’aria troppo secca, poco confortevole e poco salutare. Un obiettivo tra il cinquanta e il cinquantacinque per cento è un buon compromesso per la maggior parte degli ambienti domestici.

La posizione e il ricircolo dell’aria determinano l’efficacia dei cicli. Appoggiare l’apparecchio in un angolo o contro un mobile, con le griglie semiostruite, riduce la portata d’aria trattata e allunga i tempi per raggiungere il setpoint. Metterlo al centro della stanza o comunque in una zona libera, con spazio attorno alle prese e alle uscite dell’aria, accelera la deumidificazione e riduce le ore di lavoro. Anche la gestione della condensa raccolta incide sul consumo totale: se il serbatoio si riempie mentre non sei in casa e l’apparecchio si ferma, al tuo ritorno l’umidità relativa sarà risalita e servirà un nuovo ciclo lungo per scendere. Il collegamento a uno scarico continuo, quando possibile, evita queste interruzioni. La manutenzione ordinaria conta più di quanto si pensi. I filtri sporchi ostacolano il flusso d’aria e costringono ventola e compressore a lavorare più a lungo per lo stesso risultato, mentre batterie pulite e filtri liberi mantengono bassi i consumi.

Provare a mettere qualche numero può aiutare a farsi un’idea concreta. Un deumidificatore a compressore da trecentottanta watt, usato in una stanza di venti metri quadrati a ventidue gradi con umidità iniziale al settanta per cento e un obiettivo al cinquantacinque, lavorerà quasi in continuo per le prime due o tre ore, poi alternerà periodi di accensione e spegnimento. Su una giornata in cui lo lasci acceso otto ore, il consumo può aggirarsi attorno ai due chilowattora, con costi nell’ordine dei centesimi per ora alle tariffe domestiche tipiche. Se decidi di usarlo per asciugare il bucato, aggiunge alcune ore di lavoro pieno; in termini di energia per litro d’acqua rimossa, asciugare i due litri che un carico può rilasciare può costare poche decine di centesimi in un contesto favorevole. In una taverna fredda con un essiccativo da seicento watt, sempre a titolo di esempio, sei ore di funzionamento continuativo portano a tre virgola sei chilowattora, un consumo che può essere paragonabile o addirittura inferiore a quello di un compressore in quelle condizioni, perché quest’ultimo impiegherebbe più tempo per raggiungere lo stesso risultato. Il modo più affidabile per sapere come stanno le cose a casa tua resta comunque una presa intelligente o un misuratore di energia tra deumidificatore e presa: registrando i chilowattora su una settimana avrai una base reale su cui ragionare.

È utile ricordare un fatto fisico che spiega molte differenze di costo. Per condensare un litro d’acqua dall’aria occorre sottrarre all’ambiente una quantità di energia latente pari a poco più di sei decimi di chilowattora. Nessuna macchina può scendere molto al di sotto di questa cifra, perché è una proprietà dell’acqua, ma il modo in cui il circuito frigorifero o il rotore essiccante recuperano una parte di quell’energia può avvicinare o allontanare questo limite. Per questo un buon deumidificatore a compressore in condizioni favorevoli può arrivare a togliere due litri per ogni chilowattora consumato, mentre in condizioni sfavorevoli o con tecnologie meno efficienti questo rapporto peggiora sensibilmente.

Ci sono poi consumi piccoli ma non trascurabili che fanno da contorno, come quelli in attesa con igrostato attivo, in genere nell’ordine dei watt, quelli della pompa di sollevamento dell’acqua se presente e quelli della sola ventola quando il compressore è fermo ma l’elettronica vuole “assaggiare” l’aria per capire se ripartire. Nell’economia di un’intera stagione pesano poco, ma se l’apparecchio resta collegato tutto l’anno vale la pena spegnerlo del tutto quando non serve. In inverno, un aspetto spesso frainteso riguarda il calore. Un deumidificatore che lavora in una stanza chiusa converte l’energia elettrica assorbita e il calore latente dell’acqua condensata in calore sensibile per la stanza. Non è quindi un buco nero energetico come può esserlo una resistenza elettrica in estate: mentre asciuga, contribuisce anche, nel suo piccolo, a scaldare. Questo non significa che vada usato come stufa, ma aiuta a capire perché, in ambienti riscaldati, la sensazione di comfort aumenti anche per questa via.

Ridurre i consumi senza perdere efficacia è possibile con qualche accortezza. La prima è impostare un umidità bersaglio ragionevole, attorno al cinquanta o cinquantacinque per cento nelle zone abitate e un po’ più alta in cantine e soffitte, in modo da evitare di rincorrere percentuali troppo basse che costano molto e non portano benefici. La seconda è usare il deumidificatore in locali chiusi, con porte e finestre serrate, per non asciugare invano aria che subito se ne va. La terza è posizionarlo con criterio, lasciando spazio attorno alle griglie e, se si usa per il bucato, dirigendo il flusso verso i panni, in modo da accelerare lo scambio e ridurre le ore totali. La quarta è sfruttare lo scarico continuo della condensa per evitare arresti non voluti. La quinta è approfittare di timer e modalità intelligenti, lavorando nei momenti della giornata in cui l’umidità tende a salire e spegnendo quando non serve. La sesta è scegliere il tipo giusto per l’ambiente in cui lo metterai, preferendo i compressori dove fa caldo e gli essiccativi dove fa freddo. La settima è mantenere puliti filtri e batterie per garantire portata d’aria e scambi efficienti. L’ultima, che è anche la più importante, è affrontare le cause. Un muro freddo e non isolato, una cappa non usata in cucina, un bagno senza ventilazione adeguata o un’infiltrazione d’acqua richiedono interventi dedicati: un deumidificatore può dare sollievo, ma non risolve il problema alla radice.

Alcune domande ricorrenti meritano una risposta integrata nella logica del consumo. La portata in litri al giorno dichiarata dal produttore è riferita a condizioni di prova standard con aria calda e molto umida, quindi non va presa come una promessa di prestazione in casa tua. La velocità massima della ventola serve quando c’è da smaltire grandi quantità di vapore, come con un bucato, ma per il mantenimento il regime intermedio spesso permette di raggiungere il setpoint con meno energia totale, perché riduce consumi istantanei senza allungare troppo i tempi. In garage freddi, i consumi elevati dei compressori non sono un difetto dell’apparecchio ma una conseguenza della fisica. È in questi casi che ha senso considerare un essiccativo o riscaldare leggermente l’ambiente prima di deumidificare. Infine, un apparecchio adeguato alla cubatura del locale è quasi sempre più efficiente di due piccoli sempre “sotto sforzo”. Se gli ambienti sono separati e chiusi, vale il contrario, cioè uno per stanza.

Scegliere un deumidificatore guardando oltre i watt significa considerare la portata d’aria, la capacità in litri al giorno contestualizzata alle condizioni, l’eventuale indicazione di litri per chilowattora, il campo di lavoro in temperatura e umidità, la rumorosità e la praticità dello scarico e della manutenzione. Un apparecchio silenzioso e facile da usare potrai lasciarlo acceso più a lungo senza fastidio e finire per spendere meno a fine giornata perché lavorerà in zone confortevoli del suo campo. Un drenaggio pratico eviterà stop indesiderati. Una scheda tecnica onesta che dichiara prestazioni realistiche è un buon segno. Anche la possibilità di impostare un livello di umidità e di leggere il dato con un igrometro esterno aiuta a sfruttarlo nel modo giusto.

La conclusione è che il consumo di un deumidificatore portatile è una variabile che dipende da molte condizioni e che si può governare. Un compressore da trecentocinquanta watt può costare pochi decimi di euro al giorno in condizioni favorevoli, ma molto di più quando deve combattere umidità elevate in stanze fredde, mentre un essiccativo da seicento watt può rivelarsi la scelta più efficiente in taverna perché lavora nel suo regime ideale. Misurare i chilowattora con una presa contawatt, ragionare in termini di costo per litro di umidità rimossa e mettere in pratica alcune regole di buon senso trasformano un potenziale “mangia-energia” in un alleato gestibile. La risposta alla domanda iniziale, in fondo, è che non esiste un consumo “di targa” valido sempre, ma esiste il consumo del tuo caso specifico, che puoi conoscere, ottimizzare e ridurre senza rinunciare a un’aria più salubre.

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