Povero scorfano, è probabilmente fra i pesci più brutti del nostro mare: barbetta, barbigli e appendici varie lo fanno assomigliare più a uno scoglietto in miniatura che a un pesce vero e proprio. Alga fra le alghe, sasso fra i sassi: il mimetismo è in realtà l’arma migliore di questo pesce, incapace di nuotare velocemente dietro alle prede o davanti ai predatori. Perché lo scorfano è un pesce d’agguato: perfetta replica del fondale su cui vive, dove si rende invisibile sia agli uni che agli altri. In Mediterraneo esistono dieci specie di scorpenidi; dieci variazioni su uno stesso tema, ciascuna adattata a resistere in un ambiente diverso.
Tre sono le più comuni: lo scorfano rosso, il più grande e fotogenico dei tre, vive lungo le pareti rocciose abbastanza profonde; lo scorfano nero si apposta invece fra le rocce più superficiali mentre infine lo scorfanotto, il più piccolo, si nasconde lungo le pareti in ombra e alle alte profondità sui fondali di sabbia e fango. Individuare uno scorfano sott’acqua non è facile, a dimostrazione dell’efficacia della sua livrea mimetica che gli consente di rimane indisturbato immobile per ore, durante il giorno, appostato fra gli scogli. Una “mimetica” che non si limita a imitare il fondale solo nei colori (il rosso acceso dello scorfano sul banco della pescheria, in mare si trasforma, per casa dell’assorbimento dei colori dovuto all’acqua, in un grigio-marroncino identico alle rocce del fondale): una miriade di creste, barbigli e appendici cutanee confondono i contorni del corpo e nascondono la fessura lineare delle labbra o il cerchio degli occhi. Nell’anonimato della loro divisa di scoglio ricoperto d’alghette, gli scorfani passano la giornata appostati fra le rocce.
Preferiscono cacciare di notte ma, certo, se passasse per caso una preda a portata di bocca – e la portata della bocca è assai superiore a quanto ci si potrebbe aspettare – lo scorfano non si farebbe certo sfuggire l’occasione: con un improvviso scatto in avanti della mandibola, la bocca si trasforma in un imbuto e grazie alla depressione che si viene a creare, la preda viene istantaneamente risucchiata in bocca. Uno scatto fulmineo, un lampo, e del pesce (o del gambero, o del granchio, dipende dalle specie e dalla stagione dell’anno) non rimane che il ricordo. Gli scorfani non son certo dei gran nuotatori anche se, all’occorrenza, riescono ad esprimersi in sprint di tutto rispetto. Ma se dovessero puntare tutto sulla loro abilita’ natatoria sarebbero ormai estinti da un pezzo: se invece stiamo ancora parlando di loro, il merito è del potente veleno che questi pesci sono in grado di produrre come estrema arma di difesa e che inoculano tramite i raggi della pinna dorsale, usati a mo’ di siringa nel palato (o nella mano, nel caso di un distratto subacqueo) dell’aggressore.
La puntura degli scorfani provoca sempre forti dolori martellanti e, a seconda delle dimensioni del pesce e del proprio stato di salute, il colpito può perdere conoscenza, soffrire di vertigini, ipotensione e ancora diminuzione della frequenza cardiaca e disturbi respiratori, sintomi che possono durare anche dodici ore. La tossina, probabilmente una cardiotossina, è termolabile e cioè viene disattivata con il calore. Cosi’ nel caso vi accadesse di subire una puntura, immergete la parte colpita nell’acqua calda (per esempio l’acqua di raffreddamento del motore), della temperatura più alta che riuscite a sopportare. Quindi, appena vi è possibile, disinfettate la zona e andate a farvi visitare da un dottore.